Essere vittime di aggressioni e violenze: quali strategie di prevenzione?

Mi chiamo Maria Alessandra Giribaldi, sono un'assistente sociale e lavoro da più di trent'anni, opero presso la Prefettura di Genova dove svolgo anche funzioni di rappresentante dei lavoratori per la sicurezza e, dove ho un ruolo all'interno del Comitato Unico di Garanzia in cui mi sono occupata di mobbing in particolare. Mi è stato richiesto di fare questa lezione in una veste sindacale, sono un dirigente sindacale del S.U.N.A.S: Sindacato Nazionale degli Assistenti Sociali, da alcuni anni ho approfondito e mi occupo delle tematiche relative al rischio professionale, in particolare alla violenza agita nei confronti degli assistenti sociali, quindi, a tutto quello che ruota intorno a questa problematica. In queste veste ho partecipato al tavolo del “patto per la professione” presso il CNOAS, dove, ho curato anche la realizzazione di un vademecum specifico. 

Questa mia lezione vorrebbe non avere un taglio, diciamo accademico, ma essere anche un po' la condivisione di un percorso che, è un percorso personale, un percorso professionale, anche un percorso organizzativo ed è il percorso che io ho fatto in questi anni anche incontrando direttamente i colleghi che avevano subito, insomma, degli eventi aggressivi, condividendo con loro la loro difficoltà, il loro disorientamento e il loro sentirsi soli rispetto alla situazione che non sapevano come affrontare. 

Quindi, parto insieme a voi in una riflessione che comincia da un ambito più generale e poi andrà a restringersi. Allora, vi do questa suggestione per iniziare il nostro percorso: nel 2013 è stato fatto un rapporto sulla situazione delle violenze, delle minacce e delle intimidazione nei confronti degli amministratori pubblici; come vedete, il fenomeno è assolutamente rilevante. Se noi immaginiamo, però, la piramide insomma dell'amministrazione pubblica, noi qui, abbiamo la parte apicale che tutto sommato è quella meno a contatto con la cittadinanza, quindi, possiamo immaginare qual'è la realtà degli operatori di frontiera insomma, gli operatori che sono nei servizi. La violenza ci sembra essere un aspetto crescente delle relazioni all'interno della nostra società, una violenza espressa in maniera forte, agita.

Mi piace citare questa frase di Rosenberg che è uno studioso della comunicazione non violenta e assertiva, e lui ci da questo suggerimento: “La violenza è l'espressione tragica di bisogni non soddisfatti. E' la manifestazione di impotenza e/o della disperazione di una persona talmente priva di risorse da pensare che le proprie parole non siano sufficienti per farsi capire. Allora attacca, grida, aggredisce”. Qui, ci troviamo proprio nell'ambiente in cui lavoriamo noi assistenti sociali, perché, è proprio il territorio dei bisogni, laddove la persona, il cittadino, presenta un bisogno. Un bisogno che è sempre più spesso non soddisfatto, per motivi anche strutturali, per motivi di restrizione di risorse e stiamo andando sempre di più, da una società del diritto universale ad una società che restringe: l'esigibilità dei diritti. Questa frustrazione porta ad un'esasperazione e facilmente, alla manifestazione aggressiva, le persone sono prive di risorse, non solo in termini materiali, ma, anche in termini culturali, quindi la difficoltà a dare voce, a dare parola alla propria emozione e alla propria esigenza.  

Questa frase: “Voglio reddito perché esisto”, è una frase che io ho fotografato sui muri della mia città e, mi sembra condensare molto bene la posizione in cui l'assistente sociale si trova in questa situazione. Cioè, di fronte ad una richiesta di reddito, ma per reddito noi possiamo intendere, in senso lato, un aiuto concreto, come può essere la casa, come può essere il lavoro, come può essere il sussidio. “Voglio reddito perché esisto”, quindi, nel momento in cui la persona ci porta la sua richiesta, ci chiede anche un riconoscimento di ciò che lei è profondamente, quindi, con tutto il carico di emozioni e di istanze che sono anche identitarie. Allora, detto tutto ciò, noi ci aspetteremmo, a fronte di quella indagine che ci ha dato un quadro rispetto agli amministratori pubblici preoccupante, di trovare un quadro altrettanto evidente e chiaro per quanto riguarda gli operatori dei servizi, che sono appunto coloro che si trovano difronte la persona in difficoltà, la persona bisognosa.

Qui, di nuovo, vi propongo una riflessione a partire da una notizia che all'inizio del 2012 io trovai sul “Piccolo” di Trieste, la vicenda è questa: un sindacalista lancia un allarme nel comune in questione (non era Trieste) perchè nei precedenti cinque anni, negli ultimi cinque anni, si erano verificati ben 17 casi di aggressioni ad assistenti sociali, e quindi poneva con forza all'attenzione dell'amministrazione questa realtà, questo problema. 

Un altro sindacalista ribattè e nacque una sorta di botta e risposta dove, la sigla A ridimensionava l'allarme lanciato dalla sigla B: “Presso il Servizio di Prevenzione e Protezione del comune non esistono i verbali degli episodi di atti violenti...dal 2007 ad oggi non si registrano in Comune nemmeno infortuni sul lavoro, e un'aggressione lo sarebbe, se non altro per il conseguente stato di shock”; prosegue nella sua dichiarazione: “Se invece parliamo di episodi di aggressività, non stento a credere che qualche pugno sul bancone sia stato sferrato per esasperazione, che qualche parola grossa possa volare: quando una persona vive un momento difficile della sua vita, le tensioni sono evidenti. Non 17, ma 170 episodi di questo genere sono disposto a credere vi siano stati”. Questa testimonianza diciamo che attraverserà, con i suoi suggerimenti, un po' tutta la nostra riflessione. 

Che cosa ci dice questo scambio? Intanto qua si parla di infortuni, questo ci rimanda ad un quadro normativo, che è il quadro normativo sulla salute la sicurezza sul lavoro, quindi gli infortuni e le malattie professionali, e tutto il sistema che deve prevenire il disagio sul luogo di lavoro e creare le condizioni per una sicurezza e, quindi ci fa capire che noi dobbiamo conoscere questo quadro normativo. Non esistono i verbali di episodi di atti violenti e quindi, sembra dire il sindacalista in questione, non esistono; cioè nel momento in cui non esistono le tracce scritte documentate di quanto accaduto, noi non ne possiamo tenere conto, non lo possiamo valutare. In questa seconda parte la suggestione che arriva in maniera anche molto forte, è come ci sia un problema culturale nel capire di che cosa stiamo parlando. 

Che cos'è che possiamo definire violenza? Le parole grosse sono violenza? Il pugno sferrato sul bancone è una violenza sul luogo di lavoro, oppure no? Quindi dovremmo chiarirci su che cosa intendiamo. Non 17 ma 170 episodi di questo genere sono disposto a credere vi siano stati, in questa frase sta anche una sottovalutazione di questo problema e, in un certo senso, traspare il considerare l'espressione l'agire violento dell'utente, del cittadino, nei confronti dell'assistente sociale come un fatto normale, connaturato alla natura stessa del lavoro. Allora, cominciamo col mettere a fuoco che cosa intendiamo, che cosa dobbiamo intendere per violenza esterna sul luogo di lavoro.

 

Questo testo è estratto dal nostro video-corso Fad HELP!, ha come scopo quello di informare e permette di approfondire tematiche legate al corso.

Estratto della lezione della dott.ssa: Alessandra GIRIBALDI

Alessandra GIRIBALDI
Assistente sociale
Segretario Nazionale Sunas
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