Differenze di genere nel doping - differenze di biochimica clinica, di farmacologia e di modalità d'uso

Doping, in lingua italiana dopaggio, consiste nell'uso di una sostanza farmacologicamente attiva, di un medicamento o di una pratica medica a scopo non terapeutico, ma soltanto finalizzato al miglioramento dell'efficienza psicofisica durante una prestazione sportiva, sia agonistica che non agonistica, da parte di un atleta.

La definizione di “doping” proviene dall'antichità. Esisteva un sostantivo africano ‘doop’ che, divenuto verbo (to dope) presso i britannici, deriverebbe da un antico dialetto africano con il significato di miscuglio, mistura o pozione. 

Il doping esiste chiaramente da tempi lontani, se ricordiamo che nel 1800 si dopavano i cavalli  per truccare concorsi ippici durante le gare per cui si effettuavano scommesse. I cavalli venivano infatti drogati con una miscela di tabacco e narcotici affinché corressero più lentamente e favorissero gli altri. In Italia il termine comincia a circolare negli anni Sessanta e viene data una denominazione chiara da parte della Federazione Medico-Sportiva che la definisce come assunzione di sostanze dirette rivolte ad aumentare artificiosamente le prestazioni in gara di un concorrente, pregiudicando la moralità e l’integrità psichica e fisica.

Anche il Consiglio d'Europa nel 1966 ha dato una definizione simile al doping, che si riferisce all'impiego di qualsiasi sostanza da parte di individui sani al solo scopo di migliorare artificiosamente un rendimento in competizione. 

La storia del doping ha inizio dall'antica Grecia, dalle pozioni pseudo-magiche fino ad arrivare ai giochi degli antichi romani nel Colosseo. Già a quel tempo esistevano pratiche dopanti che avevano più o meno un significato farmacologico: si beveva della frutta fermentata che produce alcool etilico affinché l'atleta avesse meno paura nello scontro, specialmente nei casi di sfide con animali. Venivano preparati alimenti con interiora e testicoli di toro che producevano un’azione anabolizzante, in quanto in queste parti erano presenti ormoni animali, o ancora degli estratti di flora e di passiflora di tiglio che avevano un effetto ansiolitico in grado di modificare la prestazione nei giochi circensi. La prima morte documentata a causa di un uso sconsiderato di farmaci è attestata al 1896 a carico del ciclista Arthur Linton durante la gara Bordeaux-Parigi. L’atleta aveva consumato farmaci stimolanti e morì per un arresto cardiocircolatorio. I primi test antidoping ai Giochi Olimpici vennero introdotti nel 1968 a Città del Messico durante i quali fu scoperto un atleta che aveva utilizzato anabolizzanti.

Chiaramente in quell'epoca non esistevano metodologie analitiche che permettessero l'individuazione di queste sostanze, ma chiaramente il Comitato Olimpico Internazionale, il CIO, prese atto di quanto stava succedendo. L'anno precedente, sempre durante una corsa ciclistica in una tappa del Tour de France, morì Tommy Simpson, un ciclista che aveva consumato una dose massiccia di anfetamine per ridurre la fatica durante la gara. 

Questi due episodi portarono il Comitato Olimpico Internazionale a dedicare un’attenzione maggiore a questo fenomeno. Furono istituiti laboratori che durante i giochi olimpici potessero controllare questo fenomeno e venne stilato un elenco di sostanze vietate per fare in modo che gli atleti fossero adeguatamente informati su ciò che non dovevano assumere, così da aggirare i medici o preparatori atletici poco limpidi.

Da allora il numero dei laboratori antidoping, di controlli e l'attenzione rivolta a questo fenomeno è stata implementata e la lista di sostanze è stata ogni anno aggiornata e revisionata, inserendo scoperte farmacologiche che, nel tempo sono state fatte, proprio per evidenziare la dannosità di  certe sostanze alterate per le competizioni sportive. 

Durante gli anni di Guerra Fredda, la competizione tra gli Stati Uniti e la Russia infiammava anche i giochi sportivi delle Olimpiadi e questo ha reso inevitabile l’uso di sostanze dopanti durante le gare e lo stesso accadde con la DDR.

Dopo circa 40 anni, uscirono testi con trattati medici che riportano una serie di sostanze categorizzate in “doping piramidale”, vale a dire sintetizzare molte sostanze in una sola, con l’intento di modificare completamente le performance dell’atleta. Nacque quindi una sperimentazione su nuovi farmaci che fossero in grado di alterare o incrementare lo sviluppo fisico sessuale dell’individuo, creando così un’immagine distorta dell’atleta, diventato così detentore di supremazia fisica e di superpotenza.

Ai giorni nostri, esiste l’Agenzia Mondiale Antidoping, World Antidoping Agency(Wada), a cui ha dato vita proprio il Comitato Olimpico Internazionale nel 1999 prima in Svizzera, a Losanna, per poi spostare nel 2001 il quartier generale della Wada a Montreal (Canada).

La Wada ha fatto sottoscrivere a tutte le Nazioni una dichiarazione contro la pratica dell’alterazione delle sostanze farmacologicamente attive legate ad attività sportive. 

Al tempo stesso, esistono 25 laboratori antidoping al mondo, in Italia ne troviamo uno a Roma.

La Wada, stilando un elenco di sostanze proibite, aiuta i laboratori ad identificarle, finanziata in parte del Comitato Olimpico Internazionale in parte dai governi dei diversi paesi, che sono vincolati a finanziare, o anche unicamente a sostenere l'Agenzia Mondiale contro il dopaggio.

In Italia, il 14 dicembre del 2000, è stata varata la Legge 376, che parla della tutela e della salute dell'atleta e propone una definizione di doping attuale. La legge afferma che il doping consiste nella somministrazione o nell'assunzione di farmaci e sostanze biologicamente e farmacologicamente attive, finché in Italia il doping non è diventato un reato penale. Chi commette doping, anche chi fa commettere doping e quindi somministra all'atleta sostanze proibite durante le competizioni sportive, viene accusato di pene amministrative o di sanzioni ancora più importanti, fino a scaturire in molti casi nel penale. 

Dall'Italia la sanzione penale si è diramata in Francia, poi in Spagna quindi in tutta Europa, sposando la filosofia Italiana. Grazie a questa Legge del 2000 presso il Ministero della Salute, organo deputato alla tutela della salute di tutti i cittadini, e quindi anche dell'atleta, è stata istituita la Commissione di Vigilanza Doping, una squadra di esperti che elabora tutte le annotazioni della Wada, creando quindi una lista di metodi proibiti e pratiche analitiche da applicare per individuare sostanze alteranti in competizione e fuori competizione. 

Questa commissione vigila, inoltre, sulle competizioni amatoriali e semiprofessionisti di tutto il territorio italiano, in cui effettua controlli antidoping sia con medici della Federazione Medico Sportiva Italiana che con gli ispettori del Ministero stesso. In Italia le gare professionistiche sono controllate dal CONI, rinominato anche Nado, cioè la National Association Antidoping. Se il CONI controlla le competizioni sportive professionistiche, quindi la perla del calcio e del basket, le competizioni più importanti, la Commissione di Vigilanza del Doping pone la sua attenzione sugli atleti amatoriali, ai Master, vale a dire su chi compete anche senza avere un compenso monetario, con l’intento di mandare un messaggio sull'uso dannoso di queste sostanze. Tutti noi del Ministero della Salute abbiamo il dovere di tutelare l'atleta e la sua salute e siamo, quindi, un esempio di controllo soprattutto per dare il messaggio della nocività e della mancanza assoluta di senso della pratica di queste sostanze.

 

Questo testo è estratto dal nostro video-corso Fad ECM Medicina di genere: oltre la pillola rosa e la pillola blu, ha come scopo quello di informare e permette di approfondire tematiche legate al corso.

Estratto della lezione della dott.ssa: Simona Pichini

Simona PICHINI
Primo Ricercatore ISS Roma
Istituto Superiore di Sanità, Roma
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